Lo yoga fa bene al cuore: un antidoto contro l'aritmia
il martedì 03 settembre 2013 Stampa il Contenuto Crea file pdf del Contenuto

Milano, 03 settembre 2013
Uno studio americano ha dimostrato che la disciplina orientale, e in particolare la sua respirazione, aiuta a ridurre i problemi cardiaci

Lo yoga, oggi, non è più per gli orientali spiritualità e per noi occidentali, tanto distanti dal loro modo di concepire vita, morte e aldilà, semplice ginnastica, ma anche oggetto di approfondite ricerche scientifiche, finalizzate a confermare o invalidare quanto di questa antica disciplina indù si va dicendo da diverso tempo. Dagli anni ‘80 a oggi, pensate, sono stati pubblicati su riviste scientifiche internazionali, assolutamente attendibili, oltre 1000 studi sullo Yoga e il suo impatto sull’organismo e sulle differenti malattie che possono aggredirlo. Ebbene, anche gli studiosi più rigorosamente agnostici hanno dovuto ammettere, pur forse senza avvallare totalmente le relazioni esistenti di causa - effetto, i benefici di questa pratica in diversi ambiti strettamente medici.

respiro, cervello e salute — La respirazione, una funzione del sistema neurovegetativo autonoma e indipendente dalla nostra volontà (noi possiamo unicamente intervenire sul suo ritmo ed estensione) è controllata attraverso degli specifici neuroni collocati nel midollo allungato, la parte più antica dell’encefalo. Sono loro, infatti, che ordinano ai motoneuroni siti nella colonna vertebrale di attivare il diaframma e con esso tutti i gruppi muscolari coinvolti nella respirazione e, sempre loro condizionano ritmo cardiaco e pressione arteriosa. Questo è quanto il nostro organo pensante compie, ma a sua volta, la respirazione influenza sia la quantità, che la qualità del sangue che arriva al cervello. In pratica, la percentuale di ossigeno e anidride carbonica presenti nel flusso sanguigno.

respirazione yoga — Il ritmo respiratorio è molto più lento e l’inspirazione avviene in tre tempi, mobilitando dapprima il diaframma, poi il torace basso e quindi quello più alto. E’ adottato spontaneamente dalle popolazioni himalayane che, oltre ad essere una delle razze più longeve del pianeta, possiede polmoni particolarmente voluminosi, un’alta concentrazione di emoglobina nel sangue e non è mai costretta a iperventilare, nonostante viva sopra i 3.000 - 4000 m di quota, dove l’ossigeno è circa il 70% rispetto a quello livello mare. Ebbene, diversi studi sperimentali hanno dimostrato come il rallentamento volontario degli atti respiratori sia in grado di rendere più efficienti i sensori che comunicano al cervello la quantità di ossigeno e di anidride carbonica presenti nel sangue. E’ sulla base poi di queste informazioni che vengono regolati sia i gas nel sangue, che i livelli della pressione arteriosa. Ma può capitare che, a causa di alcune patologie, come quelle cardiovascolari o respiratorie, questi sensori non funzionino come dovrebbero. E’ in questi casi che la pratica yogica, rendendo più efficiente la respirazione, allena il cervello a tollerare elevati livelli di anidride carbonica, incrementa il tono vagale, provocando un rallentamento del battito e una vasocostrizione coronarica e, al tempo stesso, regola i livelli di cortisolo, adrenalina e noradrenalina, i cosiddetti ormoni dello stress.

Lo studio — L’intimo legame tra cuore, cervello e respirazione è stato evidenziato anche da una ricerca denominata ‘Yoga My Heart’, condotta dall’University of Kansas Hospital su una cinquantina di pazienti che soffrivano di fibrillazione atriale, la più comune fra le aritmie cardiache, che nei soli Stati Uniti colpisce 2,2 milioni di persone, causando battito irregolare e impedendo, di fatto, al cuore di svolgere la sua normale funzione di pompa. I partecipanti, seguiti per sei mesi, nei primi tre hanno svolto liberamente un’attività motoria a loro scelta, nei successivi tre hanno invece praticato tre sessioni di yoga settimanali della durata di 45 minuti ciascuna. Grazie a dei cardiofrequenzimetri applicati sui volontari, i ricercatori hanno potuto costatare che, durante i mesi di pratica yogica, gli episodi di aritmia si erano ridotti della metà rispetto al periodo precedente e gli episodi di fibrillazione del tutto scomparsi. In pratica, lo yoga, ma soprattutto la sua particolare respirazione, agendo sul sistema simpatico e diminuendone l’attività, regolerebbe il battito del cuore e il rilascio di adrenalina, la principale causa della tachicardia.
Mabel Bocchi


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