Oncologia e omeopatia: aria di disgelo?
il martedì 14 aprile 2009 Stampa il Contenuto Crea file pdf del Contenuto


ORA LA MEDICINA «INTEGRATA» SCRIVE LE REGOLE PER TUTELARE SICUREZZA E LIBERTÀ DI CURA

Non ci sono prove che funzioni, ma migliaia di malati la usano, spesso all’insaputa del medico.
MILANO - Da ora in poi anche i granuli e le gocce omeopatiche, usati da milioni di italiani, prima di arrivare sul bancone delle farmacie avranno bisogno di un via libera ufficiale. Proprio come qualsiasi altro medicinale. La notizia è di pochi giorni fa, i preparati omeopatici dovranno soddisfare i criteri di qualità stabiliti dall’Agenzia italiana del farmaco come da apposite linee guida, e soltanto dopo dimostrato di non essere nocivi potranno essere immessi in commercio. L’agenzia attende richieste di autorizzazione per circa 30mila prodotti e si vedrà se e quanto questi provvedimenti toccheranno le abitudini di tante persone alle prese con un tumore.

CHI LA USA - Le società di medicina omeopatica parlano di 11-14 milioni di consumatori in Italia, ma è difficile contare i malati di cancro che usano rimedi omeopatici, proprio perché, purtroppo, spesso si guardano bene dal parlarne col proprio oncologo. Qualche dato comunque c’è, anche se a spizzichi e bocconi. Secondo un lavoro apparso nell’ottobre 2008 sull’European Journal of Cancer, il 35 per cento dei bambini tedeschi malati di cancro ha fatto uso di terapie non convenzionali, soprattutto omeopatiche. Un mese prima i ricercatori dell’Università della California hanno pubblicato uno studio su 2.500 donne guarite da un tumore al seno: 2mila avevano fatto ricorso a medicine complementari, solo 300 però l’hanno detto al loro medico. E in Italia? Sul numero di maggio 2008 della rivista Tumori è emerso che, in Toscana, 17 malati di cancro su cento hanno cercato un aiuto dalle cure «dolci», soprattutto quelle da erboristeria (per il 52 per cento) e poi quelle omeopatiche (30 per cento). La consumatrice-tipo è donna, spesso con un tumore al seno, istruita e residente in aree metropolitane. Con quali risultati? Questo è il punto fondamentale.

OMEOPATIA E CANCRO – Il verdetto, inequivocabile, è arrivato nel 2006 sull’European Journal of Cancer da un gruppo di ricercatori inglesi che aveva analizzato 55 studi clinici dedicati ad omeopatia e tumori. Risultato: nessun effetto provato e mancanza di sperimentazioni condotte con tutti i crismi. Da anni il dibattito scientifico, non solo in oncologia, vede decretare periodicamente la fine dell’omeopatia (così qualche anno fa titolava un editoriale su Lancet, i cui effetti, dopo analisi e metanalisi, risulterebbero al massimo sovrapponibili a quelli di un placebo. C’è chi dice che le prove dell’efficacia dell’omeopatia siano impercettibili quanto lo sono i suoi principi attivi iper-diluiti. Nel mentre, però, milioni di persone continuano ad usarla.

FUNZIONA O NO? – L’omeopatia cura il cancro? «Assolutamente no». Lo dice non solo la medicina ufficiale, ma lo dicono le aziende produttrici (come Boiron, l’azienda che nel 2007 ha fatturato oltre 430 milioni di euro ) e lo dice anche Simonetta Bernardini, pediatra, endocrinologa, omeopata, nonché presidente della Società italiana di omeopatia e medicina integrata (Siomi). «Non cura il cancro ma cura il malato di cancro. E’ utile per contrastare gli effetti collaterali di chemio e radioterapia - spiega -. Aiuta in situazioni durissime e spesso sottovalutate come la menopausa chimica, contro il vomito, la nausea, il dolore, la stanchezza, la depressione. Una ricerca apparsa su Cancer ha provato l’efficacia di un medicinale omeopatico sulle mucositi orali in bambini trapiantati per un tumore del sangue. Il tutto senza effetti collaterali né interazioni pericolose con i farmaci anticancro. Anche se resta indispensabile parlarne al proprio oncologo».

NON CHIAMATELA «ALTERNATIVA» - Solo due pazienti su cento, fra tutti quelli che fanno ricorso alle medicine dolci, vogliono gettare alle ortiche l’oncologia accademica. «Tutti gli altri – precisa Simonetta Bernardini - cercano di aumentare le possibilità di guarigione e diminuire gli effetti collaterali dei farmaci. La medicina integrata ce l’hanno insegnata loro». Concorda sulla necessità assoluta di giungere ad un’integrazione fra discipline diverse anche Nicola Natale, ginecologo e coordinatore della commissione per le medicine complementari della Fism , che riunisce 11 società medico-scientifiche italiane e ha appena approvato le linee di indirizzo all’utilizzo di medicina complementare integrata con la medicina convenzionale. .«Finora è stato difficile valutare i risultati dell’omeopatia. Se si vuole un confronto occorre un linguaggio comune, e credo si possa trovare – auspica Natale –. Era così trent’anni fa tra chemio e radioterapia e alla fine si è trovato un modo di lavorare insieme, di condividere i problemi del malato». Intanto, a Pitigliano (Grosseto) sta per partire il primo ospedale di medicina integrata, su delibera della Regione e con il sostegno dei sindaci e dell’università di Siena, che ha avviato il primo master in materia. «Accanto alle poltrone da chemioterapia ci sarà il tappetino per lo shiatsu, spazi per yoga, psicoterapia di gruppo e agopuntura. E anche l’omeopatia. E’ la realizzazione di un sogno» dice Simonetta Bernardini.

LA CRITICA - «Integrare? Non c’è niente da integrare. C’è una sola medicina, cioè quella che funziona» commenta Giuseppe Remuzzi, primario dell'unità di nefrologia e dialisi degli Ospedali Riuniti di Bergamo e coordinatore dell’attività di ricerca della sede di Bergamo dell'Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri. «Quando ero piccolo – racconta - se c’era un bimbo malato mia nonna e altre anziane salivano ad un santuario della zona e raccoglievano erbe speciali. Ecco, se sapessi che funziona mi arrampicherei anch’io in cerca di erbe. E le chiamerei «medicina». Anni fa, quando iniziavamo ad usare la ciclosporina per curare il rigetto da trapianto non sapevamo perché funzionava, ma eravamo comunque di fronte a un dato verificato e misurato».

TEMPO E ASCOLTO - Su un punto, però, gli specialisti paiono tutti d’accordo: curare un malato significa prestargli attenzione. «Gli omeopati - ammette Remuzzi - dedicano tempo agli ammalati, li sanno ascoltare, più di quanto non facciano tanti medici. Questo sì che è medicina. E all’università non si insegna a parlare con i pazienti, a coinvolgersi, ad allearsi con loro contro la malattia».

«STANNO LEGITTIMANDO IL NULLA» - E cosa pensa del nuovo iter di registrazione all’Aifa? «Penso male – risponde Remuzzi -. Dà lo status di farmaco agli omeopatici, che non contengono nulla. Per forza non hanno effetti collaterali! Capisco che provare a regolamentare possa essere meglio che non fare niente. Temo però che sarà un caso all’italiana, un imbroglio. Se l’efficacia dell’omeopatia è quella di un placebo e nulla più, non la si può spacciare per una cura, altrimenti si va a minare il rapporto di fiducia fra medico e malato. E non è sempre vero che sono innocui, capita che chi crede nell’omeopatia abbandoni terapie efficaci o che ci sia un ritardo nella diagnosi. Pensiamo alla leucemia acuta che si manifesta con la febbre».

I NUMERI – L’Italia è il terzo mercato europeo dopo Francia (dove i farmaci omeopatici sono rimborsati per un terzo dalla sanità pubblica) e Germania. Lo Stato nel 2007 ha incassato 40 milioni di euro dalle aliquote fiscali derivanti dalla vendita di prodotti omeopatici, che rappresentano l'1 per cento dell'intero mercato farmaceutico europeo, con un aumento annuo medio del 5 per cento. Questi sono i dati resi noti, in occasione delle giornate d’inizio aprile dedicate all’omeopatia, dalla Fiamo, la federazione delle società e delle associazioni mediche che operano nel settore, che indica anche un 23,4 per cento di consumatori in Italia. Più prudenti i dati che un paio d’anni fa pubblicò l’Istat: l’omeopatia è la più diffusa fra le terapie non convenzionali ed è utilizzata da sette cittadini su cento (quasi nove se si considerano solo le donne), con un leggero calo rispetto agli anni precedenti. Più affezionate le donne fra i 25 e i 54 anni, le persone istruite, i professionisti e i dirigenti, e residenti nel nord est (11,4 per cento contro appena il due al sud; la parte del leone la fa il Trentino Alto Adige, col 18 per cento). Otto bambini su cento sono stati trattati con omeopatia. Infine, quasi tutti quelli che l’hanno usata (93 per cento) la ritengono utile, mentre il 70 per cento di quelli che non l’hanno mai usata continua a considerarla acqua fresca.

Donatella Barus
14 aprile 2009

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