Agopuntura. Dagli Usa la conferma: funziona in un caso su due. Ma non si sa perché
il domenica 16 settembre 2012 Stampa il Contenuto Crea file pdf del Contenuto

A dirlo un imponente lavoro su Archives of Internal Medicine: uno studio di meta-analisi che ha rivisto i dati di 29 ricerche su agopuntura e dolore cronico, dimostrando che la terapia funziona nel 50% dei casi. Perché lo faccia, però, ancora non è chiaro: la comunità accademica spaccata sulla questione.

13 SET - Si tratta dello studio più rigoroso e dettagliato che sia mai stato fatto sull’agopuntura, e dimostra che questa forma di medicina alternativa è veramente efficace contro il dolore cronico, che colpisce in Italia almeno una persona su quattro, e può alleggerire mal di testa e artrite. La ricerca, condotta dal Memorial Sloan-Kettering Cancer Center di New York, è stata pubblicata su Archives of Internal Medicine.

Si tratta di una ricerca finanziata dai National Institutes of Health alla quale ha lavorato un team internazionale, che ha coinvolto 17.922 pazienti, affetti da osteoartrite, emicrania, dolore cronico alla schiena, al collo e alla spalla. “Quella che riguarda l’agopuntura è una questione che è rimasta controversa per molto tempo in medicina”, ha spiegato Andrew J. Vickers, autore principale dello studio. “Ci abbiamo messo più di cinque anni e abbiamo dovuto scegliere il giusto metodo, ma alla fine abbiamo trovato le prime prove concrete che dimostrano che questa pratica è veramente utile per curare il dolore cronico”.

Invece di fare una media dei risultati di tutti gli studi precedenti sull’argomento, gli scienziati hanno prima selezionato 29 trial randomizzati sull’agopuntura che hanno ritenuto di alta qualità e poi si sono fatti mandare dagli autori tutti i dati non lavorati, che hanno poi esaminato minuziosamente e rilavorato. In questo modo, hanno potuto correggere problemi statistici o metodologici, e ottenere conclusioni più precise e attendibili. Per fare tutto questo, gli scienziati hanno impiegato circa sei anni. “Riconsiderare praticamente ogni singolo numero riportato in dozzine di articoli non è certo un compito facile”, ha commentato Vickers.

La meta-analisi, inoltre, coinvolgeva anche studi che confrontavano l’agopuntura vera, con una versione fittizia, in cui gli aghi venivano inseriti solo superficialmente, o nella quale i pazienti nel gruppo di controllo venivano trattati con aghi retraibili.

Il risultato non lascia dubbi: circa la metà dei pazienti trattati, alla fine della terapia con vera agopuntura, aveva ottenuto miglioramenti, mentre tra le persone trattate con placebo solo il 30% riportava lo stesso risultato. “Questo dimostra che la risposta non è solo psicologica, non è un rituale magico di guarigione, ma una pratica medica”, ha aggiunto il ricercatore. “Anche se, lo ammettiamo, le differenze nei risultati si assottigliano quando si osservano solo i risultati di agopuntura reale a confronto con quella fittizia”.

Il che ha portato alcuni scienziati a pensare che questi risultati non siano altro che la conseguenza di una forma di effetto placebo. “Le differenze tra le due forme di agopuntura è troppo lieve per essere clinicamente rilevante, dunque probabilmente i fattori che influenzano la riuscita del trattamento sono diversi da quello strettamente medico”, ha commentato Edzard Ernst, professore emerito di medicina complementare all’Università di Exeter. “Probabilmente – come hanno dimostrato alcuni studi – la comunicazione, verbale o meno, tra paziente e terapista conta più delle punture vere e proprie”. Tuttavia, secondo molti, questo tipo di studio è quasi impossibile da portare a termine.

Comunque, a prescindere da cosa siano causati, il dato che è certo è che i risultati ci sono. In un commento al lavoro, Andrew Avins del consorzio Kaiser-Permanente con base a Oakland ha infatti scritto che sebbene sia importante il meccanismo con cui funziona una terapia, la domanda fondamentale è se funziona oppure no. “Almeno nel caso dell’agopuntura lo studio dimostra che il trattamento porta benefici per i pazienti che soffrono di diversi tipi di dolore cronico. Forse dunque – mentre aspettiamo di capire in che modo cura e perché – a questo punto la cosa migliore è comunque usarla, e dare sollievo ai nostri pazienti”.

Laura Berardi


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